Annali del turismo 2022

L’ALBERGO DIFFUSO TRA RICETTIVITÀ ED ESPERIENZA. RIFLESSIONI A PARTIRE DALLA LIGURIA E SARDEGNA

L’ALBERGO DIFFUSO TRA RICETTIVITÀ ED ESPERIENZA.

RIFLESSIONI A PARTIRE DALLA LIGURIA E SARDEGNA

 

 

Nicoletta Varani1, Giacomo Zanolin2, Giampietro Mazza3

 

 

 

Abstract

THE ALBERGO DIFFUSO BETWEEN HOSPITALITY AND EXPERIENCE. REFLECTIONS FROM LIGURIA AND SARDINIA.The albergo diffuso is a practice that has been growing in Italy for about forty years. After the first cases in Friuli Venezia Giulia, this type of accommodation facilities has gradually consolidated in many Italian regions. Such experiments were originally seen as an opportunity (both economically sustainable and with low environmental impact) to provide accommodation in small Italian villages, not always equipped enough from this point of view. Indeed, this kind of accommodation facility is based on the enhancement of the existing built heritage as a legacy of local history.

This paper proposes a critical reflection on the albergo diffuso, interpreted not only as an accommodation facility (therefore from the point of view of hospitality), but also as a promoter itself of a touristic experience that is capable of contributing directly to tourism enhancement in the contexts where it is located. To support this hypothesis, reflections will be presented from experiences in Liguria and Sardinia, in order to discuss the potential of the albergo diffuso as an opportunity for the touristic valorisation of Italy’s marginal regions.

 

Keywords: albergo diffuso, Italy, small villages, hospitality, tourist experience, marginal areas.

 

1. Introduzione

L’albergo diffuso (AD) si presenta sul mercato turistico come una forma di ricettività evoluta, che cerca di soddisfare le variegate esperienze dei turisti contemporanei, sempre meno riconducibili a categorie definibili a priori in quanto mossi dalle più diverse motivazioni e caratterizzati da una marcata tendenza all’edonismo (Cohen, 1984). Studiare l’AD non significa pertanto limitarsi a ragionare sulle modalità con cui una certa tipologia di struttura ricettiva si propone sul mercato, bensì vuol dire provare ad approfondire il tema dell’autenticità come concetto chiave per la promozione del turismo in una certa località. L’AD non può essere inteso esclusivamente come un oggetto materiale, composto da una serie di strutture fisiche deputate all’accoglienza dei turisti, bensì deve essere interpretato anche come un complesso strumento narrativo, funzionale alla realizzazione di una performance turistica che, pur partendo da un’iniziativa imprenditoriale, ha effetti sull’intera località in cui è localizzato. Tale dinamica è ovviamente resa possibile innanzitutto dal fatto che gran parte di queste strutture sono realizzate in contesti di modeste dimensioni, nei quali di solito non esistono altre iniziative turistiche di rilievo (o comunque sono limitate), sia dal punto di vista dell’offerta di proposte attrattive, sia dal punto di vista della ricettività. Negli ultimi anni il panorama si sta in verità diversificando e ormai esistono alberghi diffusi anche in località caratterizzate da un turismo consolidato e già organizzato4. Sarà obiettivo di un altro lavoro indagare questa crescente articolazione del fenomeno, in questa sede ci limiteremo a proporre alcune possibili chiavi interpretative utili per riflettere sul concetto di AD attraverso la lettura di alcune strutture presenti in Liguria e in Sardegna.

 

2. Stato dell’arte e quadro normativo

Lo scopo di questo contributo è individuare alcune possibili chiavi interpretative auspicabilmente utili per studiare il fenomeno dell’AD in Italia ed eventualmente anche all’estero5. Per cominciare l’analisi è utile richiamare le parole usate da Giancarlo Dall’Ara, promotore dell’AD e autore di alcuni testi di riferimento sull’argomento (Dall’Ara, 2010, 2019; Dall’Ara e Villani, 2015):

 

Un albergo diffuso è tre cose al tempo stesso. È un’idea di ospitalità originale, diversa da quelle più conosciute, come gli hotel o i Resort, nata per sviluppare il turismo nei borghi e nei centri storici, senza snaturarli, senza costruire niente, ma organizzando l’esistente.

In secondo luogo è un albergo che non si costruisce, un albergo che nasce mettendo in rete case preesistenti, vicine tra loro, in un centro storico di un borgo. Una delle case diventa il luogo di accoglienza, la lobby dove arrivano gli ospiti per registrarsi e avere le chiavi della camera, e dove si trovano anche i servizi, il punto ristoro, le sale e gli spazi comuni, l’assistenza e le informazioni.

Le altre case diventano le camere dell’albergo.

Come negli alberghi tradizionali anche nell’albergo diffuso tutti gli ospiti possono usufruire di tutti i servizi alberghieri: pulizia quotidiana delle camere, assistenza, eventuale servizio di piccola colazione in camera, punto ristoro…

Uno dei tratti peculiari dell’albergo diffuso è nel fatto che le case che lo compongono devono trovarsi in mezzo a case abitate dai residenti, così che l’ospite possa sentirsi più che turista, residente, seppure temporaneo (Dall’Ara 2019, p.6).

 

È facile notare da questa citazione alcuni aspetti fondamentali, che possiamo qui passare in rassegna brevemente: non si parla di struttura ricettiva ma di ospitalità; si fa riferimento al fatto che si tratta di qualcosa di differente da tutte le altre tipologie ricettive (principio dell’eccezionalità); si esplicita che è pensato per i centri storici e i borghi dell’entroterra; si sottolinea il fatto che non prevede nuove costruzioni ma è basato sul recupero dell’esistente (ispirandosi ai principi della sostenibilità); si ricorda che sono disponibili tutti i consueti servizi alberghieri (non si toglie nulla quindi, si aggiunge soltanto); si sottolinea il senso “immersivo” dell’esperienza proposta, l’AD trascende quindi il suo essere struttura ricettiva ma si presenta come volano dell’esperienza turistica tout court: il turista deve avere l’impressione di essere un abitante del borgo (simulazione della realtà). L’insieme di questi elementi contribuisce a comporre una narrazione efficace e vincente, in grado di intercettare il desiderio di eccezionalità che guida molti turisti contemporanei.

Prima di procedere con un’analisi critica possiamo sottolineare come negli ultimi anni si sia assistito a un’evoluzione delle attività turistiche, strettamente connessa alle mutazioni sociali che contraddistinguono le nostre società, dalle quali emerge la necessità di un nuovo uso del patrimonio storico-culturale (Paniccia e Leoni, 2017). La promozione dello stesso si rileva essere uno strumento in grado di generare una maggiore competitività per le destinazioni turistiche, contribuendo alla generazione di un valore aggiunto territoriale (Prezioso, 2018). L’AD può essere considerato come una componente attiva dell’offerta turistica di territori “minori” dal punto di vista dei sistemi turistici.

Nonostante il concetto di AD, così come si è affermato oggi, sia piuttosto recente, l’idea di un’ospitalità diffusa è presente in Europa già dal 1928, ne sono un esempio i Paradores Nacionales de Turismo ancora oggi presenti in Spagna (Cupeiro López, 2011).

A seguito del terremoto del 1976, in Friuli Venezia Giulia si è manifestata la necessità di una profonda riorganizzazione territoriale, con la conseguente trasformazione delle disabitate abitazioni carniche in strutture con finalità turistiche (Dall’Ara, 2010; Pietrogrande e Vaccher, 2016). L’ AD, soprattutto nelle sue fasi iniziali, “non si è affermato come qualcosa di chiaro e definito” (Krasna, 2011, p. 238), ha avuto al contrario la necessità di un continuo adattamento, sia territoriale, sia legislativo, manifestando una costante resilienza.

L’assenza di una normativa unitaria, che possa disciplinare a scala nazionale la funzionalità metodologica dell’AD, rappresenta un fondamentale punto critico. Si rimanda infatti, sostanzialmente, a norme regionali non sempre omogenee. Sono stati necessari vent’anni, tra il primo riconoscimento formale della Sardegna (nel 1998) e l’ultimo, (emanato nel 2018) dalla Provincia Autonoma di Bolzano, affinché tutte le regioni si dotassero di un proprio regolamento specifico.

Nel 1982, congiuntamente con il progetto pilota Comeglians per la riconversione territoriale post-terremoto, si è affermato per la prima volta il termine AD, assistendo in seguito a numerosi sforzi per avviare progetti similari in altri contesti territoriali. Una delle problematiche che più hanno rallentato l’affermazione e la diffusione di tali strutture ricettive è stato il lento riconoscimento normativo. Come accennato, solo nel 1998 la Regione Sardegna, attraverso la L.R. n. 27/1998, che integra la Legge n. 22/1984, riguardante le “Norme per la classificazione delle aziende ricettive” e abrogazione della L.R. n. 21/1987, disciplina le strutture ricettive extra-alberghiere. L’articolo 1 della suddetta legge identifica l’AD nell’ambito delle varie tipologie di strutture alberghiere, definendolo all’articolo 3 come

 

alberghi caratterizzati dalla centralizzazione in un unico stabile dell’ufficio ricevimento, delle sale di uso comune e dell’eventuale ristorante ed annessa cucina e dalla dislocazione delle unità abitative in uno o più stabili separati, purché’ ubicati nel centro storico (zona A) del comune e distanti non oltre 200 metri dall’edificio nel quale sono ubicati i servizi principali. L’obbligatorietà dei requisiti ai fini della classificazione permane in quanto compatibile con la struttura diffusa dell’esercizio6.

 

La normativa fa esplicito riferimento alla localizzazione delle strutture, le quali devono essere collocate all’interno di paesi o borghi che presentano un riconoscibile pregio storico, ambientale e culturale.

Tale riconoscimento, introdotto dalla legge regionale sarda, ha fornito un primo schema di riferimento, utilizzato dalle successive norme introdotte dalle Regioni italiane, permettendo altresì di giungere a una più esaustiva definizione dell’AD. Nel 2002 il Friuli-Venezia Giulia ha disciplinato in materia di AD, seguita dal 2006 dall’Umbria e dalle Marche, dando il via definitivo a una più completa copertura legislativa nazionale in materia, conclusa dalla norma introdotta dalla Provincia Autonoma di Bolzano nel 2018. Come detto, l’assenza di una legge unica per il territorio nazionale ha contribuito a rendere disorganici i singoli provvedimenti regionali, i quali necessiterebbero di essere standardizzati anche in virtù di una maggiore riconoscibilità di un brand che potrebbe essere collegabile al concetto di made in Italy (Benini, 2018).

Un primo riferimento significativo alla ricettività diffusa nella normativa della Regione Liguria risale alla L.R. n. 13/2007. La tipologia dell’AD viene indicata e definita per la prima volta nella successiva L.R. n. 2/2008 e dai suoi regolamenti attuativi7.

Il Testo Unico di cui alla L.R. n. 2/2014 ha in seguito abrogato la normativa precedente e definito gli AD come “strutture ricettive ubicate in edifici ricadenti nei centri storici od in ambiti territoriali ad essi equivalenti individuati dal vigente strumento urbanistico, aventi le caratteristiche di cui alle specifiche disposizioni attuative, che forniscono alloggio ai clienti in unità abitative costituite da camere”8. Da questa normativa si evince l’idea che l’AD sia considerato come uno strumento potenzialmente in grado di contribuire a favorire lo sviluppo turistico locale, soprattutto nelle regioni montane dell’entroterra (Confalonieri, 2011).

 

3. L’albergo diffuso in Sardegna e in Liguria

Come si è già evidenziato in precedenza e riportato da un’ampia bibliografia di riferimento (Paniccia, 2012; Paniccia e Leoni, 2017; Russo et al., 2013), le fondamenta dell’AD, per come sono state proposte da Dall’Ara (2010) e successivamente integrate dalle normative regionali (vedi par. 2), si basano sul ruolo che esso potrebbe svolgere per i territori rurali (Woods, 2011) e marginali (De Rossi, 2020). Nelle intenzioni questa tipologia di ospitalità dovrebbe rappresentare un importante strumento bottom up di differenziazione delle attività economiche in aree fragili, favorendo forme di turismo alternativo (Komppula, 2014) che possano contrastare lo spopolamento. Inoltre, il presupposto dell’AD è legato al riutilizzo di strutture precedentemente abbandonate, in linea con i principi della sostenibilità dello sviluppo locale nelle aree rurali. L’’AD si propone, pertanto, come una tipologia ricettiva che mira a promuovere il turismo senza stravolgere gli aspetti paesaggistici.

Per comprendere meglio tutto ciò al di là delle retoriche e delle iniziative di marketing turistico, è utile approfondire le modalità con cui gli AD sono stati effettivamente realizzati in due contesti chiave come la Sardegna e la Liguria.

A conferma della lungimiranza dimostrata dalla Regione Sardegna, già manifestata nel predisporre il primo atto normativo che abbia regolamentato l’idea dell’AD, nell’Isola si sono configurati i primi AD che sono stati classificati ufficialmente come tali, offrendo altresì un importante contributo allo sviluppo nazionale del modello ricettivo (De Montis et al., 2015). Attualmente la Sardegna è la regione italiana col maggior numero di AD9, sono infatti undici, dei quali otto collocati in Provincia di Oristano, due rispettivamente nelle Province di Nuoro e Cagliari (Fig. 1), dei quali soltanto l’Antica Dimora del Gruccione a Santu Lussurgiu, il Mandorlo a Baressa, il Monte Granatino a Sadali e l’Omu Axiu a Orroli sono collocati su aree interne dell’Isola. La maggior parte delle strutture dunque si colloca sul litorale sardo, nonostante l’intento del network sia di privilegiare le aree rurali e marginali, pur senza escludere differenti contesti territoriali.

L’attuale ristorante e albergo di Sas Benas, a Santu Lussurgiu (OR) è stato il primo AD ad essere stato ufficialmente istituito in Sardegna, il quale ha aperto nel 2001 grazie al restauro di piccoli immobili nel centro storico locale, contribuendo allo sviluppo architettonico e turistico del piccolo centro dell’oristanese. Tale aspetto è stato certamente l’incipit che ha dato un positivo impulso alle successive realizzazioni di AD in Sardegna. All’iniziativa di Santu Lussurgiu hanno fatto seguito i progetti di altri comuni dell’Isola, a partire da Bosa, quasi a testimoniare la lungimiranza degli attori territoriali della Planargia10.

Decenni dopo la prima esperienza, si può osservare che quanto avviato in Sardegna ha fornito un importante contributo alla definizione del concetto di AD, soprattutto per quanto concerne l’originalità del modello di ospitalità. Tra le undici strutture presenti sull’Isola, si è deciso di concentrare l’attenzione nello specifico soltanto su l’Antica Dimora del Gruccione, uno dei primi AD italiani, anch’esso sito a Santu Lussurgiu, poiché rappresenta una buona pratica di struttura diffusa sul territorio11.

Lo stretto legame della famiglia proprietaria della struttura con il borgo, è testimoniata da processi di territorializzazione che hanno forgiato la storia locale e non solo. L’attuale gestore dell’AD è la pronipote di Niccolò Meloni (1848-1896), importante vignaiolo e distillatore di acquavite; colui che è stato il primo imprenditore nella distillazione di acquavite e cognac in Sardegna, con importanti riconoscimenti nazionali.

 

Fra i cognac furoreggiò – per usare un termine giornalistico – quello del nostro Meloni di S. Lussurgiu (Sardegna) cui fu all’unanimità assegnata la medaglia d’oro. Questo cognac è un vero trionfo del romito di S. Lussurgiu; ed esso solo ci spiega perché abbia abbandonato la penna, che pur maneggiava così bene, per dedicarsi toto corpore ad un’opera così feconda com’è quella di creare – primo nella terra natia – “isola ai Sardi cara” – un’industria così promettente e così bella com’è quella del cognac (Mancini, 1896, p.112).

 

Tale aspetto si lega con l’evoluzione storica della sede della vecchia distilleria, oggi importante struttura ricettiva, espressione di un presidio territoriale che si collega con le esperienze e le attività promosse dall’AD, alcune delle quali connesse alle attività di vinificazione e distillazione, ancor’oggi sviluppate.

I laboratori e le attività portate avanti dall’Antica Dimora del Gruccione assumono un peso sostenibile, soprattutto nella sua misura sociale, poiché perfettamente integrate col tessuto locale e con gli attori territoriali presenti a Santu Lussurgiu, quindi, offrendo esperienze connesse ai valori del territorio, rappresenta una buona pratica di AD. Nel complesso, la struttura ricettiva, si compone di 19 camere12 per un totale di 40 posti letto, distribuiti su 4 edifici.

Si evince che l’applicazione sistemica dell’ospitalità diffusa, raffigura molto di più di una mera ricettività turistica, poiché richiama il concetto di innovazione sociale, a cui sono associati significati plurimi, ma che è visto come un processo sistemico attraverso il quale cambia il comportamento e l’atteggiamento di un gruppo di attori territoriali, che operano con interessi comuni, sviluppando innovative forme di collaborazione (Rousselle, 2013; Van der Have e Rubalcaba, 2016), in linea con le esigenze territoriali.

Per quanto riguarda la Liguria (Fig. 2), la Regione riconosce quattro strutture ricettive classificate come AD: due in Provincia di Imperia (MuntaeCara ad Apricale e Relais del Maro a Borgomaro), una in Provincia di Savona (Castelbianco a Colletta di Castelbianco) e una in quella di Genova (Villa Riviera Resort a Lavagna), per un totale di 52 camere e 120 posti letto standard13. L’Associazione Nazionale AD riconosce solo le due strutture localizzate nell’imperiese, che meglio rispettano i precetti del concetto di AD. Prima di spostare l’attenzione specificamente su di esse, meritano almeno un rapido cenno introduttivo anche le altre due strutture ricettive.

La prima è localizzata a Colletta di Castelbianco (SV), in Val Pennavaire, a circa 20 km dal mare e dalla piana di Albenga, è un borgo che a partire dagli anni Novanta del secolo scorso è stato oggetto di un progetto innovativo volto a riqualificarlo (a seguito di un processo di totale spopolamento) puntando sull’innovazione tecnologica, pur nel rispetto dell’architettura di origine medievale che caratterizza il borgo. In questo ambito, a partire dal 2010 è stata promossa anche la realizzazione di una forma di ospitalità diffusa, oggi gestita dal Consorzio “Ospitalità diffusa di Castelbianco”14. La seconda struttura tra quelle elencate sul portale della Regione Liguria, Villa Riviera Resort, è localizzata sulla collina di Santa Giulia, nell’immediato entroterra di Lavagna (GE). Si presenta come un hotel diffuso a cinque stelle, che offre servizi di livello elevato rispetto agli standard internazionali e propone vacanze all’insegna dello svago e del benessere. Il riconoscimento come AD deriva dal fatto che le camere sono suddivise tra due antiche ville completamente ristrutturate. È evidente che entrambe queste strutture ricettive non ricalcano appieno i presupposti dell’AD.

Rispecchiano invece propriamente i parametri dell’AD le altre due strutture ricettive, entrambe nella Provincia di Imperia: MuntaeCara ad Apricale e il Relais del Maro a Borgomaro. In particolare MuntaeCara si presenta come un caso esemplare di cosa vorrebbe essere un AD, ovvero un albergo in orizzontale che propone ai visitatori la possibilità di simulare un’esperienza di vita a contatto con gli abitanti di un borgo storico nelle Alpi Liguri. Tutta la struttura ricettiva è realizzata allo scopo di offrire la possibilità di sperimentare questa sensazione, con le camere affacciate direttamente sui vicoli del borgo e l’arredamento antico, fedelmente restaurato. Questo AD è nato sulla spinta di un bando regionale promosso a seguito dell’approvazione della L.R. n. 2/2008. Il Comune di Apricale ha partecipato al bando cercando in un partner privato l’interlocutore adatto ad avviare il progetto. Una famiglia locale ha così iniziato a restaurare alcune strutture appartenenti agli avi e successivamente ha rilevato e recuperato altre strutture abbandonate. In questo modo sono state rigenerate alcune abitazioni per creare delle camere tematiche sparse in tutto il borgo e vanno. Alcune sono arredate per richiamare la storia rurale locale, mentre altre spaziano su vari tematismi, come per esempio la “camera delle farfalle”, che evidentemente non richiama antichi residenti, ma comunque promuove un’idea di ruralità. Interessante è inoltre la presenza di alcune suite, intese come camere con uso cucina, le quali offrono l’opportunità di rafforzare la sensazione di non essere turisti ma anche abitanti del borgo in questione.

 

4. Riflessioni critiche sull’Albergo Diffuso

Sulla base delle esperienze precedentemente riportate, possiamo proporre alcune chiavi interpretative di carattere generale, a partire dalle quali sviluppare l’analisi sull’AD in Italia. Un primo concetto fondamentale è legato all’eccezionalità dell’esperienza proposta, infatti l’AD si presenta come un modello di ricettività in grado di appagare le complesse esigenze del turista contemporaneo. Questi infatti non si accontenta più di un’offerta generica, desidera al contrario distinguersi dalla massa e avere la sensazione di essere protagonista della scena. Da questo punto di vista, i turisti contemporanei risultano sempre meno riconducibili a categorie definibili a priori, in quanto sono mossi dalle più diverse motivazioni (Gavinelli e Zanolin, 2019). Questa esigenza tuttavia non trova necessariamente applicazione in pratiche turistiche basate sulla conoscenza approfondita della realtà esplorata o volte al confronto con le effettive dinamiche locali. Al contrario, si esplica in molti casi in pratiche di consumo superficiali, volte a trarre piacere dal contatto con contesti idealizzati e stereotipati. Si dice a questo proposito che in molti casi il turista è interessato al “godimento estetico delle superfici” (Cohen, 1995), più che all’approfondimento della conoscenza del luogo visitato. Oltre a voler essere protagonista, il turista si configura pertanto anche come consumatore delle località, la cui scoperta non è finalizzata per un fine euristico superiore, ma semplicemente come occasione per appagare il proprio piacere personale. Questo appagamento può ovviamente essere ottenuto in tanti modi, che vanno dal relax, agli sport estremi, allo scambio culturale e ad un’infinità di pratiche, tutte accomunate dalla necessità di essere soddisfacenti per il profilo di un turista che vuole essere protagonista e consumatore al tempo stesso. L’AD pare configurarsi come uno strumento estremamente efficace da questo punto di vista, in quanto si presenta come qualcosa di più di una semplice struttura ricettiva, offrendo non solo uno spazio per dormire, reso accattivante grazie al recupero delle strutture architettoniche storiche, ma anche l’impressione di vivere un’esperienza unica.

Un secondo concetto fondamentale, collegato a quello appena descritto, riguarda l’autenticità dell’esperienza proposta. L’AD si presenta infatti come uno strumento per vivere un’esperienza immersiva in una realtà locale alternativa rispetto alla quotidianità del turista. Il concetto di autenticità si pone in modo critico nel contesto degli studi del turismo, a tal punto che in alcuni casi risulta pressoché impossibile distinguere ciò che è reale da ciò che è simulazione turistica (Wang, 1999). Il concetto di autenticità è stato soggetto a varie interpretazioni, tra loro anche contrapposte (Cohen, 1979; 1988; Bruner, 1994; Urry, 1995; Wang, 1999; Žižek, 2004; MacCannell, 2005; Baudrillard 2010), che tuttavia possono essere considerate complementari per comprendere la complessità di un fenomeno come quello turistico, intrinsecamente connesso alle esperienze soggettive di individui che deliberatamente scelgono di investire il proprio tempo libero e i propri risparmi allo scopo di appagare un bisogno di alterità. Come afferma Monica Gilli (2009, pp. 36-37):

ogni ricerca di autenticità è, necessariamente, una ricerca esistenziale esperienziale, vale a dire, la ricerca di una particolare condizione del soggetto fruitore; ma questa autenticità non è ancora sufficiente, o, meglio ancora, non può innescarsi senza un ancoraggio a un’autenticità dell’oggetto/esperienza fruiti […]. Lo stesso schema, si noti, può applicarsi anche in una prospettiva postmoderna, in cui l’autenticità dell’oggetto diventa inessenziale, o addirittura viene rinunciata a favore dell’inautenticità e della finzione: anche in questo caso vi è una ricerca esistenziale-esperienziale, che diventa autentica quando il soggetto riesce ad ancorarla a un oggetto che presenta caratteristica […] che il soggetto avverte come valore oggettivo.

Il concetto di autenticità deve quindi essere inteso come costruzione sociale (Berger e Luckmann, 1969), che dipende direttamente dal rapporto soggettivo che si attiva tra soggetto e luogo. Non esiste pertanto un autentico in senso assoluto, infatti in molti casi i turisti preferiscono confrontarsi con l’inautenticità se questa è maggiormente in grado di soddisfare il loro desiderio voyeuristico (Ritzer e Liska, 1997). Ne consegue che l’esperienza autentica dipende dallo sguardo del turista che la vive (Urry, 1995). Analizzando quindi il turismo nella prospettiva della post-verità, sospesa tra eventi fake e real, è possibile provare a rielaborare il concetto di autenticità in termini di post-autenticità, sostenendo che è sempre più difficile verificare il valore di realtà di ciò che si osserva, in quanto risulta oscurato dalla riproduzione di massa di rappresentazioni stereotipate dell’oggetto (Lovell e Bull, 2018; Gavinelli e Zanolin, 2019). La distribuzione capillare all’interno del borgo, il richiamo alla storia e alla tradizione locale, l’apertura delle strutture rispetto al tessuto urbanistico e sociale sono ingredienti chiave di una proposta turistica all’insegna dell’autenticità, e rappresentano elementi di un’offerta basata sull’illusione di poter scoprire un altrove spazio-temporale, stereotipato e semplificato rispetto alla complessità delle dinamiche locali. L’AD può essere quindi intrepretato come un attore chiave nel processo di costruzione di significati percepiti dal turista nel corso della sua esperienza.

Questa idea di autenticità richiama spesso uno specifico altrove spaziotemporale (Aime e Papotti, 2012) ispirato dall’idea dell’idillio rurale. Come evidenziato da un’ampia bibliografia (Tuan, 1974; Bunce, 1994; Short, 2006), il paesaggio rurale è da lungo tempo considerato come espressione di una visione romantica e idealizzata di un passato nel quale gli esseri umani vivevano in un rapporto più stretto col territorio: one the most powerful and enduring ideas about the rural is that of the “rural idyll”” (Woods 2011, p.21). In ambito turistico l’idillio rurale si è costruito intorno ad un’idea nostalgica, riferita a un passato da preservare difronte alle minacce derivanti dallo sviluppo urbano e industriale (Paül, Tort e Trillo, 2020). Nel passato, quando le campagne erano spazi abitati da gran parte della popolazione, erano descritte come spazi degradati e marginali. Nella contemporaneità l’abbandono e lo spopolamento di questi spazi, ha paradossalmente portato a una loro riscoperta idealizzata. Molteplici narrazioni sono state costruite su questo tema, ma non si tratta solo di una costruzione immaginaria, in quanto ne conseguono numerosi effetti materiali (Halfacree, 2003) che trovano nel turismo una specifica declinazione. Attraverso l’AD il turista è messo nella condizione di vivere un’esperienza all’interno di questo idillio rurale, grazie a una serie di proposte che gli consentono di simulare attività tipiche del mondo rurale del passato. Si tratta evidentemente di semplificazioni che consentono solo di autorappresentarsi come protagonisti di una scena. Il turista non desidera vivere realmente nelle condizioni di un passato rurale di cui la fatica e la povertà erano tratti distintivi, bensì nell’ambito dell’offerta di servizi di standard elevati è appagato dall’esperienza superficiale vissuta.

Un quarto aspetto riguarda l’idea che l’AD sia un modello di ricettività sostenibile. Da questo punto di vista occorre chiarire come possiamo intendere il concetto di sostenibilità distinguendo un piano pratico da uno narrativo, che non necessariamente coincidono o derivano l’uno dall’altro. La sostenibilità di per sé è un concetto derivato dalle scienze economiche per proporre un modello produttivo di stampo capitalista ma alternativo rispetto a quello espansivo promosso a partire dal secondo dopoguerra (Scandurra, 1995). Alla luce degli impatti negativi dal punto di vista sociale e ambientale che tale modello economico ha cominciato a manifestare fin dagli anni ’60, un lungo percorso è stato avviato allo scopo di proporre un’alternativa in grado di preservare i privilegi acquisiti nei paesi di prima industrializzazione in termini di benessere socio-economico, senza compromettere la dotazione di risorse ambientali da cui tali privilegi traggono il sostentamento in termini di materie prime e di basi materiali della produzione. Nel corso del tempo, tale riflessione pratica si è evoluta in una serie di principi legati ai modelli produttivi e di consumo, coinvolgendo in modo pervasivo gran parte dei settori economici. Al tempo stesso la sostenibilità ha assunto anche una dimensione narrativa sempre più marcata, configurandosi come un concetto aggregativo di un’enorme varietà di processi di tipo ambientale, sociale ed economico (Davico, 2004). La dimostrazione di tutto ciò è data dall’Agenda 2030 promossa dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2015 attraverso i Sustainable Development Goals, i quali hanno ampliato il raggio d’azione della sostenibilità a una pluralità di concetti a tal punto diversificata da rendere difficile la focalizzazione sui principi di base della sostenibilità stessa. Questi due binari (pratico e narrativo) trovano specifiche configurazioni anche nell’ambito dell’offerta turistica costruita a partire dall’AD, traducendosi da una parte in una serie di pratiche costruttive relative alle strutture ricettive e al rapporto con il territorio in cui si collocano, dall’altra in dinamiche narrative volte a presentare specifiche esperienze come “sostenibili”, intendendo con questo un implicito giudizio di merito volto a distinguerle rispetto ad altre ritenute maggiormente impattanti sulla sfera sociale e/o ambientale. Il concetto di sostenibilità comprende anche una dimensione sociale che nell’attuazione dell’AD viene sottovalutata. Si tratta infatti di iniziative imprenditoriali private che investono capitali (anche attraverso fondi pubblici) allo scopo di generare un profitto. Ne consegue che la creazione di AD non sempre genera un effetto di ampio respiro sulla comunità locale, rivelandosi, talvolta, un debole attore nella prospettiva della sostenibilità sociale.

 

6. Conclusioni

Il presente contributo ha presentato una riflessione sull’AD di carattere teorico e metodologico a partire dall’analisi dello stato di fatto in Liguria e in Sardegna. Le conoscenze acquisite non consentono evidentemente di ricavare considerazioni di carattere generale utili a definire il ruolo dell’AD nell’ambito dell’attrattività turistica di una località. Tuttavia, i quattro elementi precedentemente descritti paiono configurarsi come i motori di una complessa performance turistica basata sul rapporto tra narrazione e realtà dell’AD. In generale, i luoghi turistici contemporanei possono essere intesi come sistemi ibridi, generati dall’assemblaggio di performance umane, non umane, oggettuali, discorsive, ecc. (Rabbiosi, 2018). In questa dinamica, il turista vive in una condizione paradossale di sospensione tra la ricerca di un altrove e un pressante bisogno di sentirsi abitante dei luoghi (Minca e Oakes, 2006). L’AD pare assumere in questo contesto un ruolo come attore protagonista, in grado di favorire un articolato processo di rinnovamento, relativo al tempo stesso: ai significati attribuiti al borgo nel quale viene realizzato, alle sue forme paesaggistiche e alle modalità di interazione con il luogo e i suoi abitanti.

Così pensato, l’AD sembra assumere molteplici significati e quindi si presta a diverse possibili interpretazioni. In teoria dovrebbe essere il generatore di un processo ampio, in grado di coinvolgere più attori territoriali nella rete di relazioni sociali che attiva. Tuttavia, l’AD si configura spesso come un’attività imprenditoriale basata sul presupposto della creazione di valore economico attraverso ampi processi, integrati (più o meno sistematicamente) nel territorio, potenzialmente (ma non necessariamente) in grado di generare stimoli allo sviluppo locale. In tale ottica, gli AD possono essere studiati in quanto risorse territoriali potenzialmente capaci di generare esperienze turistiche all’interno di territori nei quali ovviamente esistono strategie di sviluppo focalizzate sull’uso turistico dello spazio (Zang et al., 2021), ma non necessariamente sono in grado di generare e/o alimentare la dimensione socio-territoriale. In definitiva possiamo proporre una prospettiva di analisi basata sull’idea che, visitando un AD, non necessariamente il turista entra a contatto con il luogo vissuto dagli abitanti, ma sembra piuttosto vivere un’esperienza immersiva, resa possibile da una performance turistica guidata dalla gestione imprenditoriale dell’AD. Si tratta ovviamente di riflessioni preliminari e contestuali, dedotte dall’analisi della letteratura e delle esperienze descritte, alle quali non può essere attribuito un valore generalizzabile ma che possono fare da riferimento teorico e metodologico per la costruzione di ulteriori approfondite ricerche sull’argomento.

 

 

Riferimenti

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Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova, varani@unige.it.

Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova, giacomo.zanilin@unige.it.

Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova, giampietro.mazza@unige.it.

Tra gli esempi di AD collocati in realtà turistiche consolidate possono essere citati: Le Grotte della Civita a Matera (Cucari et al., 2019) e il Sextantio a Santo Stefano di Sessanio in Provincia dell’Aquila (Clementi et al., 2020).

Negli ultimi anni il modello è stato esportato anche in altri paesi, tra cui per esempio il Giappone, dove a partire dal 2013 sono stati avviati specifici progetti, che hanno portato all’inaugurazione del primo AD aderente al modello italiano nel 2018. È anche stata costituita l’Associazione Giapponese degli Alberghi Diffusi (ADJ). Fonte: https://www.alberghidiffusi.it/alberghi-diffusi-nel-mondo/.

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n. 2/2009 e n.1/2010.

http://lrv.regione.liguria.it/liguriass_prod/articolo?urndoc=urn:nir:regione.liguria:legge:2014-11-12;32&pr=idx,0;artic,1;articparziale,0.

Quantificare l’esatto numero di AD per regione non è possibile, in quanto non vi è una esatta corrispondenza tra le strutture riconosciute dalle normative regionali e quelle iscritte alla rete creata dall’Associazione Nazionale AD. Inoltre, l’elenco è fluido e in continua evoluzione, con strutture che si aggiungono ed altre che vengono escluse o che scelgono di uscire dal network. Per quanto riguarda la Sardegna si fa riferimento al dato fornito direttamente dall’Associazione Nazionale AD il 26 marzo 2022. Per quanto attiene alla Liguria si considera il dato fornito sul portale della Regione Liguria, aggiornato al 24 novembre 2022.

Sub-regione storica della Sardegna centro occidentale, all’interno della Provincia di Oristano. Nel 1995, all’interno del progetto del Piano di Sviluppo Turistico della Comunità Montana Marghine Planargia venne definito il “Modello di AD”, mediante il quale vennero avviate le prime iniziative a Santu Lussurgiu e Bosa.

Si è deciso di focalizzare l’attenzione e le riflessioni soltanto su una struttura ricettiva in Sardegna, una delle prime realizzate in Italia.

Le camere sono così composte: 3 singole, 11 doppie, 3 triple, una quadrupla e una suite.

https://www.regione.liguria.it/component/publiccompetitions/document/1421.html?view=document&id=1421:elenco-degli-alberghi-diffusi-della-liguria&Itemid=2906.

http://www.ospitalitacastelbianco.it/consorzio-ospitalita-diffusa-castelbianco.htm#:~:text=Il%20Consorzio%20Gestione%20Ospitalit%C3%A0%20Diffusa,Da%20Gin%2C%20Hotel%20Ristorante%20Scola%2C

15 May 2023

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Nicoletta Varani, Giacomo Zanolin, Giampietro Mazza Nicoletta Varani: Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova, varani@unige.it. Giacomo Zanolin: Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova, giacomo.zanilin@unige.it. Giampietro Mazza: Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova, giampietro.mazza@unige.it.